Così come nel Novecento, questo è ancora uno dei pochi mestieri che si tramanda di generazione in generazione; le tecniche dell’oreficeria di maggior pregio, ora come allora, erano quasi esclusivamente manuali, con l’impiego di attrezzi e utensili mirati alla lavorazione dei cosiddetti “metalli nobili” (oro, platino e argento); fra i più classici e i più usati si possono citare i bulini, i ceselli, i brunitoi, i cannelli ferruminatori, oltre naturalmente alle lime, ai raschietti, ai trapani a mano e ai seghetti, strumenti dal sapore antico ma sempre contemporanei.
Particolarmente importante in oreficeria era la fusione del metallo, che poteva servire sia per la preparazione dei lingotti dai quali ricavare i semilavorati (lastre, fili, ecc.), sia per l’esecuzione diretta dell’oggetto (che usciva dalla forma pressoché finito), avendo bisogno soltanto di pochi ritocchi e della pulitura ed eventuale lucidatura. Molto usata era la pressofusione, che garantiva una buona compattezza delle superfici, mentre per gli oggetti particolarmente pregiati si ricorreva all’antico sistema della fusione a cera persa.
I gioielli artigianali italiani, oggi come ieri, si riconoscono per la fattura e le tecniche usate dagli artigiani orafi, per il design e per l’alto tasso di creatività e la preziosità.
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